Allenare la mente

Articolo pubblicato su Corner il 28 marzo 2019.

A chi gli domandava il segreto dei suoi capolavori, Michelangelo rispondeva che l’opera d’arte fosse già all’interno del marmo stesso e che lui non faceva altro che scalpellare per farla emergere. Stefano Tavoletti non è uno scultore, o per lo meno non nella sua accezione più comune. È un allenatore della mente, un mental coach.

Mental coach. Una figura che è diventata sempre più centrale nel mondo del calcio. Eppure c’è ancora molta confusione attorno a questa professione. Spesso si pensa che un mental coach sia semplicemente un motivatore, una persona che sprona un atleta prima della competizione a dare il meglio. Niente di più sbagliato. Ne abbiamo parlato con un professionista, con una persona che questo mestiere l’ha fatto suo.

Chi è Stefano Tavoletti? 
Sono un Personal Coach professionista, mi piace definirmi un “allenatore della mente”. Mi sono formato con i migliori esponenti del Coaching e della PNL (Programmazione Neuro Linguistica), dai quali ho appreso tecniche e strumenti che poi nel tempo ho implementato, divulgato e adattato al mondo del calcio, la mia grande passione. Ho lavorato a fianco di allenatori professionisti, calciatori e squadre (Trapani, Livorno, Catania).
Attualmente sto lavorando con calciatori di serie A e B e collaboro con una squadra di Serie C. Per motivi di privacy e etica professionale non posso fare nomi. Sul mio sito potete trovare altre informazioni utili.

Com’è nata in te questa passione?
Mi ha sempre affascinato il funzionamento della mente umana, capire i meccanismi inconsci del nostro cervello, le reazioni emotive a determinati stimoli. Una seconda fonte d’ispirazione sono sempre stati i libri motivazionali e le storie di successo in qualsiasi ambito. Ho scelto di intraprendere questa professione perché sostanzialmente amo contribuire al successo di altre persone. Essere Coach per me è una missione, un modo di essere che contempla una forte attitudine per lo sviluppo del potenziale umano. Un bel giorno ho deciso di mettere insieme tutte queste competenze acquisite e nel 2007 ho scritto il mio primo libro “Motivare per vincere”, al quale ne sono seguiti altri due: “L’allenamento mentale del calciatore” e “L’allenatore carismatico” scritto con Walter Zenga. Da li è partita la mia storia, le collaborazioni con allenatori, calciatori, squadre e atleti di altri sport. Quello che inizialmente era un semplice hobby, è diventato una professione.

Cosa fa in concreto un mental coach?
Affianca le persone in un percorso di studio interiore delle loro potenzialità, aiutandole a comprendere meglio i propri meccanismi mentali/motivazionali e a trovare dentro di sé quelle risorse fisiche, tecniche, mentali inespresse o non ancora affiorate. La maggior parte delle persone sanno dove vogliono arrivare, ma non sempre conoscono il modo per farlo. A volte serve qualcuno che accenda loro la luce, che gli indichi la strada da seguire. Io personalmente nel mio ambito sportivo, studio, sperimento, perfeziono tecniche e strategie per usare al meglio la mente nella performance. Pensieri, emozioni, dialoghi interni, immagini mentali sono strettamente collegate. Il mio compito è studiare queste relazioni, ottimizzarle e insegnare agli atleti come sfruttarle al massimo a proprio vantaggio.

Spiegaci un po’ il tuo metodo di lavoro
Lavorando da oltre 10 anni con gli sportivi ho capito che non può esistere un modo univoco di allenare la mente, ne un protocollo specifico da seguire alla lettera. Le nostre menti sono diverse così come lo sono i nostri corpi. Ogni persona risponde alle stesse sollecitazioni in maniera diversa, una tecnica che può funzionare meravigliosamente per un calciatore, può avere un effetto differente su un altro e viceversa. Per questo motivo ho creato un programma di lavoro giornaliero decisamente flessibile, da personalizzare in base alle caratteristiche genetiche e caratteriali del calciatore che comprende tecniche di preparazione mentale e sessioni di coaching personalizzate.

Come lavori con i tuoi assistiti?
Eseguo delle sessioni di coaching, che sono differenti dalle le “sedute” che si fanno dallo psicanalista o terapeuta. il Coach ha un ruolo totalmente differente dallo psicologo. Nel mio caso, le sessioni con gli atleti che seguo possono durare anche ore, si va avanti fino a che non troviamo la soluzione. Dopodiché, una volta individuato il piano d’azione o la strategia da mettere in atto, segue un “follow-up”, ovvero una serie di controlli periodici e programmati per fare il punto della situazione.  Solitamente con l’atleta ci vediamo di persona un paio di volte al mese, poi il nostro rapporto avviene quotidianamente o quasi per telefono e whatsapp, per monitorare il percorso.

La figura del mental coach è diventata sempre più centrale nello sport, la mente quanto può aiutare a raggiungere i risultati? L’esempio Bonucci è forse uno dei più lampanti…
Finalmente dopo tanta diffidenza si comincia a capire l’importanza dell’aspetto mentale e quindi ad accettare il ruolo del mental coach, che non è altro che un allenatore della mente. Secondo studi autorevoli la mente in una prestazione sportiva incide per l’80%, ciò significa che può incrementare notevolmente il livello della performance. È deleterio continuare ad allenare le componenti tecniche, tattiche, fisiche e tralasciando, o quasi, quella più importante. Su Bonucci l’allenamento mentale ha funzionato soprattutto perché il calciatore ci ha creduto, applicandosi fin da subito con costanza e disciplina.

Questione infortuni, una mente allenata può ridurre i tempi di recupero?
Decisamente sì e ne ho avuto più volte la riprova con gli atleti che seguo. Essere mentalmente preparati non soltanto ti fa recuperare velocemente dagli infortuni, ma ti fa vincere anche la paura di infortunarti nuovamente. In questi casi un ruolo importantissimo lo ricoprono le immagini mentali che ti aiutano a rimanere motivato in vista del “grande” rientro.  Le immagini valgono più di mille parole, sono il linguaggio della nostra mente. A tal proposito c’è una storia vera che vide protagonista una tuffatrice americana, Lara Wilkinson. Durante il periodo di rifinitura per i trial olimpici del 2000  si ruppe 3 ossa del piede. Non potendo tuffarsi per due mesi durante il periodo di recupero, la Wilkinson visualizzava però i suoi tuffi ogni giorno. Dopo il rientro, non solo si qualificò per le Olimpiadi, ma vinse la medaglia d’oro a Sidney, anche se il piede non era completamente guarito.

Se dovesse spiegare i benefici di avere un mental coach, quale aneddoto o esperienza passata racconterebbe?
Te ne potrei raccontare a decine, da calciatori che hanno realizzato gol esattamente come li avevano immaginati ad altri che avevano anticipato mentalmente nei dettagli i loro successi. Un giovane calciatore con il quale cominciai a lavorare nel 2013 mi scrisse che aveva tre sogni:  essere convocato in Nazionale, giocare in Champions e firmare un contratto importante (scrisse anche la cifra che chiaramente non posso dire). Ebbene, abbiamo trasformato questi sogni in obiettivi e piani d’azione, li abbiamo perseguiti e alla fine si sono materializzati. Miracolo? No…lavoro e tanta disciplina. Poi il suo subconscio ha fatto il resto, aiutandolo e realizzare quegli obiettivi che immaginava vividamente ogni giorno.

Molti pensano che il mental coach in fin dei conti debba solo motivare e incitare, ci può spiegare perché non è così? 
Purtroppo c’è ancora tanta confusione attorno alla nostra figura. La figura di cui parli tu è il motivatore. Il coach è un’altra cosa: aiuta i calciatori a far emergere e sfruttare al meglio le loro abilità e i loro innati talenti. Il motivatore lavora esclusivamente cercando di dare all’atleta la giusta carica. Parafrasando il mio amico e collega Marco Cassardo, il motivatore fa all’atleta il pieno di benzina, il mental coach gli insegna a farsi benzina da solo ogni volta che ne ha bisogno.

Lei svolge questo lavoro anche al di fuori del campo da gioco, cambia qualcosa nell’approccio verso una persona comune, rispetto a uno sportivo, che magari ha un po’ di notorietà?
Assolutamente no, cambia il contesto ma i meccanismi mentali di una persona comune rispetto a un calciatore famoso sono gli stessi. Si tratta sempre di lavorare sulla gestione dei loro stati d’animo e sulle loro motivazioni. Poi ci sono le specializzazioni: life, business o sport coach e i rispettivi target di riferimento. La cosa più importante, piuttosto, è che un Coach sia un professionista, che sappia aiutare i suoi clienti a raggiungere risultati migliori, a costruire il futuro che desiderano e ad attivare le risorse necessarie perché quel futuro diventi realtà. Per essere Coach devi risultare innanzitutto coerente, affidabile e credibile, poi bisogna possedere doti empatiche e comunicative. Purtroppo esistono personaggi senza scrupoli oppure semplicemente molto ignoranti che credono di poter svoltare la propria vita diventando coach senza le competenze necessarie e senza la minima formazione ed esperienza.

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