di GIOVANNI LORENZINI – Stefano Tavoletti, viareggino trapiantato a Firenze, da diversi anni affianca giocatori di prima fascia
Il calcio è pronto a rimettersi in moto in questo ‘stranissimo’ (si fa per dire) 2020. Il pallone continua ad essere una passione condivisa da milioni di sportivi. Non è solo sport ma anche economia. Lo confermano i numeri. Un mondo, quello del calcio, che si evolve in continuazione, anche come figure professionali che affiancano i giocatori. Una di queste è il mental coach, che spesso gli atleti ricordano quando riescono a raggiungere particolari traguardi. Ma chi è, come e su cosa lavora, come si interfaccia con l’allenatore, il mental coach? L’interlocutore è Stefano Tavoletti, viareggino trapiantato a Firenze, che da diversi anni affianca giocatori di prima fascia in questo interessante e delicato compito.
Come si diventa mental coach? Cosa ti ha spinto a interessarti della testa di un atleta?
Attraverso una formazione qualificata, con tanto studio e soprattutto facendo esperienza pratica sul campo. Per diventare un coach eccellente, non devi limitarti a fare il coach, ma devi esserlo. C’è una differenza abissale fra il fare il Coach ed essere un coach. Per essere un buon coach non devi essere troppo teorico,ne puoi usare con tutti i giocatori gli stessi metodi di lavoro e gli stessi protocolli, ma devi metterci tanto del tuo, passione e unicità. Devi “voler bene” ai tuoi atleti, aiutarli a vedere ciò che non vedono o considerano, creare forte empatia, sinergia, fiducia, evitando al tempo stesso di farsi coinvolgere troppo emotivamente.
Per quale motivo non tutte le società professionistiche, che pure hanno staff a supporto dell’allenatore in prima molto numerosi, usufruiscono del lavoro del mental coach?
Credo più che altro per disinformazione, le mie esperienze vissute con società professionistiche mi hanno confermato che questa figura (almeno inizialmente) spesso non viene percepita nel modo giusto. Il mental coach non è altro che un allenatore della mente,da integrare con gli altri componenti dello staff. Nel professionismo gli staff tecnici a supporto dell’allenatore annoverano sempre più collaboratori di ogni genere, ma spesso risultano orfani di figure professionali dedicate alla preparazione degli aspetti mentali e motivazionali. La capacità di essere concentrati nei momenti cruciali, di gestire i pensieri e le emozioni risulta essere quel fattore chiave che spesso fa la differenza in una prestazione sportiva. Ciò nonostante la concentrazione continua a non essere allenata.
Da quando fai questo lavoro, qual è stata la soddisfazione più bella?
In oltre dieci anni di attività ho avuto la fortuna di averne vissute diverse, dall’essere riuscito ad aiutare calciatori e allenatori a realizzare i loro sogni, alla pubblicazione di tre libri, di cui uno scritto con Walter Zenga, con il quale oltre a una consolidata amicizia ho instaurato una prestigiosa collaborazione nelle sue stagioni di Catania e Palermo. Aggiungo poi l’esordio di Cristiano Piccini in Nazionale e la vittoria dello stesso in Copa del Rey con il Valencia nella finale contro il Barcellona.In quell’occasione a fine partita ero in campo per la premiazione e vedere Leo Messi a pochi metri da te mentre gioisci con Cristiano che alza la Coppa al cielo è stata un’emozione indescrivibile. In quei momenti ho realizzato dove ero arrivato, dove mi aveva portato questa professione, inizialmente nata per hobby.
Perché Il giocatore ha bisogno del mental coach? E’ un segno di debolezza? Oppure lo stimolo per fare ancora meglio?
Perché sempre più giocatori diventano consapevoli che per eccellere nelle performance e raggiungere risultati di rilievo non basta essere preparati solo tecnicamente e fisicamente ma serve anche una solida mentalità. Ricorrere a un coach non è l’ammissione di una debolezza, ma il riconoscimento di un potenziale. Un calciatore che ricorre a un coach non ha niente di “rotto” da aggiustare, desidera semplicemente massimizzare il suo potenziale per arrivare alla migliore versione di se stesso. Mi piace definire il coach come un personal trainer dei risultati, lontano da qualsiasi forma di terapia, un professionista che aiuta gli atleti a raggiungere risultati migliori, a costruire il futuro che desiderano e ad attivare le risorse necessarie perché affinché quel futuro diventi realtà. Nel mio caso specifico aiuto i calciatori a gestire l’emotività, l’aspetto mentale, alzare i propri standard, quindi a capire se/cosa c’è da cambiare, migliorare o modificare.
I mental coach hanno avuto un riconoscimento da parte della Figc? Oppure c’è ancora molta cammino da fare?
Purtroppo è una categoria non ancora riconosciuta ufficialmente dalla Figc, anche se ultimamente – seppur a piccoli passi – qualcosa si sta muovendo. Poco prima del lockdown mi sono sentito con il direttore del Centro Tecnico Federale Paolo Piani per parlarne di persona, poi la situazione Covid è precipitata e la struttura di Coverciano è stata adibita ad ospedale, per cui l’incontro è stato rimandato. Resto fiducioso che prima o poi questa importante figura professionale verrà riconosciuta, così come da anni avviene all’estero. La preparazione mentale è troppo importante per essere lasciata al caso.
In questa convulsa e accidentata stagione, il lavoro dei mental coach è aumentato?
Numericamente parlando non saprei dirti, noto però una maggiore sensibilità riguardo agli aspetti mentali della performance. Alla ripresa dei campionati abbiamo visto tutti quanto sia importante avere una mente fortee resistente di fronte alle avversità. Dopo tre mesi di lockdown molti giocatori sono risultati spenti, depotenziati, poco motivati, il caso di Ilicic ne è stato un esempio eclatante. Purtroppo è aumentato il numero di coloro che, approfittando del fatto che il mestiere del coach non è regolamentato da nessuna normativa e da un facile accesso alla pratica, si professano coach senza possedere un’adeguata formazione professionale, col rischio di fare danni e di screditare la categoria e i coach professionisti che vi operano da anni con serietà, abilità e competenze.
Lavorate per le società oppure come consulenti professionali dei singoli giocatori?
Il lavoro di coaching può essere svolto sia con le società, quindi a supporto della squadra e dell’allenatore che con i singoli calciatori. Personalmente ho avuto la possibilità di lavorare in entrambi i contesti. A differenza del coaching individuale, dove è il calciatore a richiedere il tuo supporto e quindi già predisposto per un certo tipo di lavoro, a livello di squadra le dinamiche cambiano e l’allenamento mentale funzionasolo se viene proposto in modo professionale e incorporato in un programma di allenamento globale, tecnico, tattico, fisico e mentale.
Quali sono stati i migliori risultati che hai ottenuto seguendo alcuni calciatori?
Cristiano Piccini,che è arrivato a realizzare i suoi grandi sogni di giocare in Nazionale e in Champions League. Lorenzo Venuti con cui lavoro oramai da 5 anni e che ha conseguito due promozioni in serie A (Benevento e Lecce) fino ad arrivare a coronare il suo grande sogno di giocare in serie A con la squadra della sua città, la Fiorentina. Mattia Caldara con il quale ho lavorato nella mia prima stagione al Trapani Calcio dove assieme a mister Roberto Boscaglia e al ds. Daniele Faggiano abbiamo predisposto un programma di allenamento mentale inglobato nell’allenamento tecnico atletico. Di quella squadra oltre a Mattia approdarono alla serie A Matteo Scozzarella, Antonino Barillà, Matteo Mancosu, Cristiano Lombardi. Altri risultati importanti li ho raggiunti con Giuseppe Pezzella, Federico Viviani, Filippo Falco, Luca Lezzerini, Michele Fornasier, Marco Biagianti. Per quanto riguarda invece il lavoro di squadra, una delle maggiori soddisfazioni deriva dall’aver contribuito alla promozione del Livorno Calcio in serie B nel 2018. Il coaching funziona,ti permette di raggiungere risultati impensabili, naturalmente è fondamentale crederci e applicarsi con costanza e disciplina.
Pensi mai a ‘ma perché non ci ho pensato prima a fare questo lavoro?
Ti rispondo con una citazione di Goethe: “pensare è facile, agire è difficile, e mettere i propri pensieri in pratica è la cosa più difficile del mondo”. Molto probabilmente “prima” non erano i tempi maturi. Quando ho iniziato nel 2007 a parlare di Mental Coaching nel calcio c’era ancora più scetticismo rispetto ad oggi, ma non mi sono perso d’animo e ho continuato a crederci, a studiare e ad aggiornarmi. L’aggiornamento è indispensabile, devi crescere, evolverti continuamente, formarti, apprendere, applicare, conoscere e applicare nuove tecniche, nuove strategie.Al miglioramento non c’è mai fine…
Il sogno nel cassetto per la prossima stagione sportiva
Ne ho diversi…non potrebbe essere altrimenti, in questo lavoro la parola sogno ricopre un ruolo fondamentale. Tutto ha origine da un sogno e io ne ho due in particolare:uno più generico che è quello di veder finalmente riconosciuta ufficialmente questa figura professionale. Sogno di vedere all’interno di ogni staff tecnico la figura del preparatore mentale. L’altro è più personale epiù specificamenteri guarda i “miei” ragazzi: vedere almeno tre di lorotra i convocati in nazionale ai prossimi Europei di calcio. E i sogni esistono per essere realizzati… Nessun sogno è troppo grande, e nessun sognatore è troppo piccolo per poter sognare.
Articolo originale: Meanthal coach: intervista a Stefano Tavoletti